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- CARMELO BENE - SALOME[TNTVILLAGE] -


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Descrizione
CARMELO BENE


SALOME\'







Titolo originale: Salomé
Paese: Italia
Anno: 1972
Durata: 74\'
Colore: colore
Genere: drammatico
Regia: Carmelo Bene
Soggetto: Oscar Wilde

Interpreti e personaggi

Carmelo Bene, Lydia Mancinelli, Alfiero Vincenti, Donyale Luna, Veruschka, Daria Nicolodi
Fotografia: Mario Masini
Montaggio: Mauro Contini
Musiche: Georges Bizet, Giacomo Puccini, Richard Strauss, Piotr Ilic Caikovskij, Johannes Brahms, Franz

Schubert


Trasposizione cinematografica dell\'opera teatrale dello stesso Carmelo Bene, riprendendo la \"Salomè\" di Oscar Wilde.

Il genio trasgressivo del regista ispirò un\'interpretazione decisamente insolita e personale. Erode, tetrarca di

Galilea, ha sposato la cognata Erodiade ed è affascinato dalla figlia della consorte, Salomè. Da mesi tiene

prigioniero Giovanni Battista, che interessa la giovane donna.





L’uomo tende ad identificarsi con la sua dimensione mitologica. La civiltà in cui vive non è che il portato di una

complessa costruzione simbolica, una macchina che modifica le stesse funzioni biologiche. Parlare dell’uomo è

parlare dei suoi miti: esistere è accettare questa dimensione. Carmelo Bene esiste, ma dalla sua consapevole scelta

traspare l’ansia di un angoscioso rifiuto, il dubbio di una rivolta disperata. E’ un vivere al limite della propria

esistenza: da una parte l’annullamento della mitologia, dall’altra il rischio della solitudine metafisica. Trovare

l’equilibrio è rischiare la pelle: la  vita si sperimenta bruciando la propria vita, non c’è altra scelta. Questo è

il dramma che Bene continua a portare sullo schermo, di volta in volta con un referente diverso; si tratti di Erode

e di Salomè o di Don Giovanni, poco importa rispetto al metodo, rispetto al lavoro cinematografico e al giudizio che

da esso traspare. Del mito di Salomè interessa più l’essere mito che non il “significato” particolare. La mitologia

viene indagata nelle sue strutture, poiché solo le modalità d’esistenza possono rivelarci il senso dell’essere.

Salomè, allora, funziona da metafora vivente per una presa di coscienza della storia, delle sue chiusure o

autoimpatti, delle sue costituzionali “falsità”. La tensione a conoscere gli oggetti da soggetto porta alla

delusione di una risposta alienante, alla mortificazione della spinta nativa nella palude del rito. Solo la presa di

coscienza (dolorosa) di tale degradamento può indicarci la strada di una rivoluzione da compiere. Ed è appunto al

rito (il banchetto di Erode) che Bene ci invita, per mostrarcene gli elementi più significativi, per farci

partecipare di un’analisi condotta con mezzi artistici. La corrosione del rito assume forma poetica grazie alla

consapevolezza della parallela e complementare dissoluzione del rito, esemplarmente enunciata fin dalla prima

sequenza del film: «non c’è altro amore che l’amore di Dio» (il mito per eccellenza, la cupola sotto cui viviamo da

millenni) diviene «non c’è altro amore che l’amore» e poi «non c’è altro».. E’ una specie di crisi portante, che

libera nel suo attuarsi tutta una serie di corrispondenti opposizioni (ognuna delle quali trae vita dalla “falsità”

dell’altra): il Cristo e l’anti-Cristo, la luna e il sole, il caldo e il freddo, il profetismo e l’orgia, la vita e

la morte, il trasparente e l’opaco.

La figura di Erode si muove, anzi si dibatte con grande sofferenza nell’infernale contesto dove ogni concetto

diventa un riferimento stereotipo, ogni giudizio una frase fatta. E’ l’inferno tutto terreno di un’esistenza non

dialettica, di una prigionia formale pietrificante. Al suo interno, la fantasia dell’artista cerca il proprio

sprigionamento, aspira ad un programma liberatorio e sovversivo, mentre soggiace alla continua mortale minaccia del

già detto e del banale: una corsa in discesa che sembrerebbe inarrestabile, alimentata com’è da tutto un inventario

di simboli che si legano l’un l’altro per via del loro innato cannibalismo. Ma Carmelo Bene trova il modo di uscire

da questo inferno: ne esce restandoci immerso fino al collo ed offrendo la propria condizione al “pasto” dello

spettatore, avvertendolo ad ogni istante che il pranzo sarà molto indigesto. In termini espressivi: la complessità

della composizione (a tutti i livelli: sonoro-visivo, inquadratura montaggio, colore) e il frammentarsi della

percezione in un arduo paesaggio, antinaturalistico, figurativo solo alla prima lettura. L’ansia di autenticità,

tradotta in negativo nella impossibilità di uscire dall’universo mitologico, porta l’uomo alla disperazione più

profonda nel momento in cui si fa lucida la sua coscienza. Ma, a questo livello, non c’è più differenza tra Erode,

che sa di non poter volere altro che uno specchio per guardarsi («Non bisogna guardare nelle persone o nelle cose,

bisogna guardare solo negli specchi»); che conosce il potere opprimente della storia e del mito («Non gli permetto

di resuscitare i morti: sarebbe terribile se i morti rivivessero»; «non bisogna cercare simboli dappertutto: la vita

sarebbe impossibile»); e il profeta, che trae le sua invettive da ragioni a lui esterne e che parla un linguaggio a

lui incomprensibile (la battuta: «Avanti popolo, a riscuotere», detta da una figura di

contadino-bracciante-calciatore della nazionale, è la frase politicamente più micidiale di tutto il cinema italiano,

perché sono le parole di uno schiavo che non sa di essere schiavo, ma anzi è stato convinto di essere un

rivoluzionario e per questo è disposto a prendersi tanti schiaffi, anche se non sa perché glieli danno, con tanto

fervore). Non c’è differenza, nella misura in cui ogni parole ci impegna, nell’implacabile meccanismo della

«verità»; nel momento che ci sentiamo signori di noi stessi, stiamo mettendo sul tavolo la nostra vita, il senso

stesso della nostra esistenza («I re non devono mai dare la loro parola»). E mentre gli altri (tutti) fanno a gara

per tradire i «santi» corrotti e corruttibili che vivono dentro di loro («Uno di voi mi tradirà… Io! Io! Io!») -

Cristo tenta invano di crocefiggersi con le proprie mani - , Erode paga il presso salatissimo della sua vanità; egli

ha osato chiedere un gesto, sperare in uno scatto della fantasia, puntare tutto su un attimo di ebbrezza, ma i veli

di Salomè nascondono il nulla (cfr. la figura evanescente di Donyale Luna) e chiedono il massimo prezzo: la testa

del profeta. Salomè è la vanificazione dell’uomo come rapporto, come relazione storica; di una storia che non è

altro che mito: una serie di frasi fatte che non spiegano niente. Il film termina con Salomè che scortica vivo Erode

sotto il sole. Poi lo schermo bianco.





Durata: 73\'20\"
Lingue: ITALIANO
Sottotitoli: ITALIANO PER NON UDENTI
Formato Video: 1.33:1  
Compressione: NESSUNA
Contenuti Extra:  Biografia di Carmelo Bene


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Aggiunto 28.02.09 - 21:02:58
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