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Nella discografia di Bob Marley altri album sono considerati più importanti. Eppure “Rastaman Vibration” non lo si può considerare un lavoro inferiore ai precedenti. Per certi versi, quelli commerciali ad esempio, è stato anche più importante. Con questo disco, infatti, Marley e i Wailers varcano i confini inglesi e conquistano gli States.
Il primo a credere in loro era stato Chris Blackwell - boss della Island che li aveva scovati a Trench Town in Jamaica e portati al successo in terra d’Albione - con il quale registrarono i primi tre album. Fatta eccezione per “Natty Dread”, album che conteneva la celeberrima “No Woman No Cry” (canzone che ha poi dato il titolo al bel libro di Rita Marley, ottimo compendio per capire il contesto in cui tutto ebbe origine), Marley e i Wailers non avevano ancora conosciuto il successo internazionale. È grazie alle canzoni di questo disco che Marley si consacra definitivamente come il cantore principe della spiritualità rasta: impegno politico, religione e liberalizzazione sono il pane delle liriche che la musica reggae rende universali, soprattutto attraverso concerti che segnano un’epoca, come testimonia “Babylon By Bus” del 1978.
Da questo episodio in poi la popolarità di Bob Marley sarà destinata a crescere senza sosta per un altro, purtroppo brevissimo, lustro. A fermare l’uomo, non certo la sua musica e il suo mito, un anno dopo il memorabile concerto di Milano, sarà solo il cancro l’11 maggio 1981.
A trent’anni dalla sua pubblicazione il quarto disco in studio (ristampato nel 2002 in Deluxe Edition con l’aggiunta di un live californiano tratto dal Rastaman Vibration Tour del 1976) del jamaicano più famoso del mondo, profeta immortale della musica reggae, suona ancora incredibilmente vivo e le sue vibrazioni ancora positive. Semplicemente roots, rock, reggae.
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