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- [jazzPlanet] Michael Breacker-Two Blocks From the Edge[Flac] -


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Categoria bittorrent Musica
Descrizione
MICHAEL BREACKER TWO BLOCKS FROM THE EDGE


Michael Breacker - Two Blocks From the Edge


[jazzPlanet] Michael Breacker-Two Blocks From the Edge[Flac]

Tuesday, May 12, 199



tracklist

Madame Toulouse (05:19)
Two Blocks From the Edge (08:31)
Bye George (06:5
El Niño (07:43)
Cat's Cradle (06:42)
The Impaler (07:13)
How Long 'til the Sun (07:3
Delta City Blues (05:37)

personnel

Michael Brecker Tenor Sax
James Genus Bass
Don Alias Percussion
Joey Calderazzo Piano
Jeff "Tain" Watts Drums

http://www.vervemusicgroup.com/artist/releases/default.aspx?pid=9521&aid=2703

bio

Michael Brecker è nato a Philadelphia il 29 marzo 1949 ed è cresciuto in una famiglia di musicisti.
Suo padre suonava i dischi di Dave Brubeck e Clifford Brown e portava Michael e suo fratello maggiore Randy a vedere Miles Davis, Thelonious Monk, Duke Ellington, e molte altre icone del Jazz.

Il fratello Randy suonava già la tromba e, a sette anni, Michael studia il clarinetto con Leon Lester, dell'orchestra di Philadelphia, e il sax contralto. Nel periodo delle scuole superiori, spinto dall’ascolto di Coltrane, passa al tenore.

Lo ritroviamo prestissimo in piccole formazioni di Philadelphia, con Eric Gravatt (futuro batterista dei Weather Report) e con il fratello Randy. All’Università dell'Indiana familiarizza con la musica classica e si accosta al flauto. Trascrive alcuni assoli dei suoi musicisti preferiti, John Coltraine e Charlie Parker, ma ascolta molto rock e rhytm and blues. Nel 1970, a diciott’anni, è a New York, dove ottiene la sua prima scrittura professionale con Edwin Birdsong. Inizia a questo punto il sodalizio musicale dei fratelli Brecker le cui strade si incrociano spesso e sempre con notevoli risultati.

Randy, a quel tempo già musicista affermato, aveva partecipato alle prime registrazioni del gruppo rock-jazz Blood, Sweat and Tears, (1967) suonava blues con Janis Joplin e hardbop con il quintetto di Horace Silver e con i Jazz Messengers.

Nel 1970 i due fratelli fondarono i Dreams un pionieristico gruppo Jazz-Rock di cui facevano parte anche John Abercrombie e Billy Cobham. Il gruppo si sciolse dopo tre anni e due dischi, ma resta importante come uno dei primi concreti esempi della fusione di Rock e Jazz.

Randy e Michael suonarono ancora assieme nei gruppi di Horace Silver (1973/75) che li ha fatti conoscere al grosso pubblico del Jazz e di Billy Cobham (1974/75). Quindi si dedica intensamente al lavoro di studio.

Nel 1975 con Randy forma i Brecker Brothers una delle più innovative band jazz-funk-fusion del decennio: il loro primo disco (omonimo) ottenne quattro nominations per il Grammy.

Fra il 1975 e il 1981 incisero sei album e si guadagnarono un grande successo internazionale, sia di critica che commerciale. Dal 1976 al 1978 entrambi fanno parte del gruppo del pianista Hal Galper.

Nel 1977 Michael e Randy aprirono un Jazz Club a downtown Manhattan, sulla 7 Avenue: lo "Story Towne" che fu uno dei centri vitali della vita musicale di New York.

Le jam sessions fra amici quali il vibrafonista Mike Maineiri, il bassista Eddie Gomez, e il batterista Steve Gadd (poi sostituito da Peter Erskine) portarono nel 1979 alla formazione degli Steps (poi Steps Ahead), con i quali registrarono sette album e ascesero alla fama mondiale negli anni ottanta.

Il gruppo evolve verso una musica molto elettronica, soprattutto dopo l’adozione da parte di Brecker, nel 1985, dell’EWI (Electronic Wind Instrument) inventato da Nyle Steiner.

All’inizio del 1978 Michael partecipa alla registrazione del disco di Charles Mingus Me Myself an Eye di cui è uno dei solisti principali.

Brecker ha registrato e suonato con tutti I più grandi degli anni settanta e ottanta sia del Jazz che del Pop come Chet Baker, George Benson, Dave Brubeck, Don Cherry, Chick Corea, Herbie Hancock, Freddie Hubbard, Quincy Jones, Charles Mingus, Joni Mitchell, Jaco Pastorius, Frank Sinatra, Bruce Springsteen, Steely Dan, Tony Williams, e Frank Zappa.

Nel 1987 debutta finalmente con il suo primo disco come leader, dopo quasi 400 album come sideman, Michael Brecker per l’etichetta Impulse, a cui partecipano Jack DeJohnnette, Charlie Haden, Kenny Kirkland e Pat Metheny. Tale lavoro rappresenta una tappa molto importante nella carriera di Brecker finalmente non più nei panni di gregario, seppur di lusso, ma in veste di direttore.

Quest’opera è carica emotivamente e notevolmente ispirata: la frizzante Szygy mette in mostra tutti i virtuosismi cromatico ritmici del sassofonista: The Coast of Living è una toccante ballad in cui l’energia si scioglie in una nostalgica vena melodica.

Questo disco solista fu votato come disco dell’anno dalle riviste Jazz Down Beat e Jazziz.

Nel 1988 esce Don’t Try at Home, che gli fa vincere il suo primo Grammy, e nel 1990 il terzo disco a suo nome Now you See It ... (Now You Don’t). Con questo disco, passato alla più commerciale GRP, Michael Brecker torna inaspettatamente alla Fusion. Egli riesce a far suonare ancora vitalissimo un genere di contaminazioni che molti cominciavano a dare per spacciato. L’alternanza di basso elettrico (Victor Bailey) e contrabbasso (Jay Anderson), di sintetizzatori (Jim Beard) e pianoforte (Joey Calderazzo) mediano un prodotto di altissima sintesi stilistica.

Nel 1992, dopo un anno e mezzo di tour con Paul Simon, Michael ritrova suo fratello per un nuovo progetto comune patrocinato dalla GRP Return of the Brecker Brothers. Sono con i due Brecker, il chitarrista Mike Stern, il bassista James Genus, il tastierista George Whitty ed il batterista Dennis Chambers. La musica è di alto livello, splendidamente eseguita ed arrangiata, in un equilibrio estatico tra elettrico e acustico. Manca però quel pizzico di magia che caratterizzava ogni singola nota degli “Steps”, in cui le due menti di Brecker e Mainieri si univano in una comunione di intenti e risultati raramente raggiungibili.

Nel 1994 esce Out of the Loop  e nel 1996 l’album Tales from the Hudson che gli procurano altri due Grammy  e il titolo di Miglior solista dell’anno da Jazzlife e Jazzman dell’anno dal Swing Journal. Il gruppo di “All Stars” (Pat Metheny, McCoy Tyner, Joey Calderazzo, Dave Holland e Jack DeJohnette) esplora nove temi originali tutti composti da Michael. Suonare e registrare con McCoy Tyner è stata per Michael Brecker un’impareggiabile esperienza. Entrambi sono di Philadelphia e McCoy ha suonato con due dei musicisti che hanno maggiormente influenzato Michael: John Coltrane e Joe Henderson. Non c’è quindi da stupirsi del feeling che c’è tra loro.

Seguono nel 1988 il suo terzo album Two Blocks From the Edge e nel 1999 Time Is of the Essence (con Pat Metheny, Larry Goldings, Elvin Jones, Jeff "Tain" Watts and Bill Stewart)

Nearness of You: The Ballad Book del 2001 (prodotto da Pat Metheny con il leggendario cantante-autore James Taylor, presente in due brani) vede per la prima volta insieme, in un intero album, dei giganti del Jazz come Pat Metheny, Herbie Hancock, Charlie Haden and Jack DeJohnette.

Michael Bracker è sicuramente una delle figure di rilievo della musica strumentale contemporanea e grazie alla sua evoluzione stilistica e alle sue innovazioni armoniche è fra i compositori più studiati nelle scuole di musica di tutto il mondo.


Affetto dal 2005 dalla sindrome mielodisplastica (SMD, degenerata poi in leucemia), è morto in un ospedale di New York il 13 gennaio 2007, all'età di 57 anni.



recensione

Disco inciso in quintetto, con Don Alias alle percussioni, James Genus al basso, Jeff ”Tain” Watts alla batteria e Joey Calderazzo al piano. Due anni dopo “Tales from the Hudson” (del 1996) esce questo monolite al jazz contemporaneo di altissimo pregio.

Forse si intuisce un leggerissimo bias dell’umile narratore nei confronti di un artista che continua rigorosamente a sfornare prodotti e collaborazioni di ragguardevole livello, dopo un doveroso trascorso fusionaro nei primi anni ottanta; task comunque di difficilissima coniugazione, quando bisogna anche riempire lo stomaco nella durissima America. Ed a maggior ragione giù il cappello quando, come nel caso di Michael, si è gravemente malati (in questi ultimi due anni: auguri, vecchio leone) e malgrado tutto si esce fuori con un’opera complessa e ricca come “Wide Angles”, incisa in “quindicetto” !

Gente dai pur nobili intenti (Tom Scott, David Sanborn, Rick Braun, Chuck Loeb) è da tempo sonoramente crollata sotto le blandizie dei discografici per diventare la fotocopia scolorita non di se stessi (che sarebbe ancora entro i limiti legali) ma di tipi alla Kenny G, cioè il peggio che esista sulla faccia della terra in tema di Mistificatori Musicali (potrebbe essere il nome di un gruppo, mmmh…). Dunque, il disco non concede sconti ai facili costumi delle vostre orecchie: se non vi piace il jazz radicale e ben costruito, ma che lascia ampio spazio all’interpretazione dei singoli musicisti coinvolti, malgrado i brani siano di precisa struttura e costruzione rigorosa, state alla larga. Meglio per voi e per i vostri padiglioni auricolari. Magari cominciate da una big band, da un vecchio Illinois Jacquet che vi espone il temino senza colpi al cuore e poi progredite pian piano, ok? Se invece siete uomini già navigatelli, con le gli attributi sopra i boxer, prendete il disco, tutti fuori dalle scatole a casa; oppure chiudetevi in macchina con la sicura o mettetevi un cuffietttone in capo e comiciate l’ascolto. Un’ultima nota: il disco è dedicato a Don Grolnick, all’epoca scomparso da poco che era solito dire che gli piaceva vivere “close to the edge, as long as it is two or three blocks away ” donde il titolo.

1) “Madame Toulouse” (Brecker) inizia con una simil tarantella giocata tra contrabbasso, percussioni e tamburello che presto si trasforma in un pezzo swingante a medio-tempo; coinvolgente palestra ginnica; non casuale per Michael e Joey
2) “Two blocks from the edge” (Brecker) parte in sordina con frasi innestate su un pedale di basso che man mano rallenta, riparte sino a sviluppare in maniera imprevedibile ed assolutamente coinvolgente, con largo uso di basso puntato per creare tensione e rilascio orgasmico. Calderazzo incontenibile e precisissimo. Dopo questa musica ci sono i Pearly Gates. Niente meno di ciò.
3) “Bye George” (Calderazzo) ci riconduce a terra con un pezzo che stacca completamente dall’ atmosfera sperimentale dei primi due brani, per scodellare dai vostri diffusori uno swing degno del migliore Frank Sinatra (artista per cui a volte Michael ha fatto il terzo o quarto sax di fila in orchestra, con grande modestia e voglia di apprendere). Orgasmo per le orecchie. Watts probabilmente mangia tavolette di energia pura e Genus lo prende per le palle e lo tiene più volte nel disco.
4) “El Nino” (Calderazzo) altro brano di Joey che evidenzia doti non comuni di fantasia cromatica e ritmica. Bisogna sentirlo, questo pezzo, per credere a quanto si possa fare ancora di nuovo partendo dal Mc Coy Tyner degli anni settanta; chi amava (ama!) Mc Coy Tyner di “ Sahara” e di quel periodo non potrà non avere un Deja Vu ascoltando questo brano.
5) “Cat’s cradle” (Calderazzo) questa “culla di gatto” è una ninna nanna delicatamente interpretata che serve per far capire che anche i “jazz cats” hanno un cuore da qualche parte; scale e cambi di accordo velocissimi incastrati nell’ incedere tranquillo del pezzo che a tratti ricorda il VSOP (does anyone remember?)
6) “The impaler” (Watts) è un brano di energia pura che si sviluppa con il sax in bella evidenza sino ad un certo punto; poi si blocca, “puntato” su un specie di calypso giusto per far esplodere un Calderazzo che ricorda un vulcano in eruzione magmatica allo stadio iniziale. Da non poter rendere a parole. Incredibile.
7) “How long‘ til the sun” (Brecker) parte lento con un sax drammatico e pieno di dignità. Per continuare su un ritmo medio lento che ti serve per riprendere fiato dopo l’eruzione precedente. Ancora numeri di classe stratosferica.
“Delta city blues” (Brecker) è, infine, un devertissment in iniziale chiave blues, elaborato in maniera molto libera dal gruppo. Un bel giochino che conferma che i jazzisti sanno spaziare a 360 gradi. Si finisce comunque a swing, mostruoso e libero, trascinato da Watts che è incontenibile. E gli altri dietro senza farsi pregare. La struttura di dodici battute si intuisce appena dietro cascatelle di note e grappoli di accordi sparsi. Dilatata e destrutturata a piacere; dinoccolata e riadattata. Wow!!!

Auguri di nuovo di cuore per la tua salute, Mike: cento di questi dischi!

Info: Per scaricare devi usare un client come uTorrent o Transmission
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Hash 9ac666424d05a3c8bc1999ddb38e92edede0b903
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Aggiunto 25.03.08 - 17:03:37
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