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Descrizione


Il fascino discreto della borghesia
Le Charme Discret de la Bourgeoisie
edizione 30° anniversario
di Luis Bunuel - 1973


Rating IMDB: 8.1/10
Un film di Luis Buñuel. Con Milena Vukotic, Fernando Rey, Delphine Seyrig, Paul Frankeur, Bulle Ogier, Michel Piccoli, Claude Piéplu, Jean-Pierre Cassel. Genere Commedia, colore, 105 minuti. Produzione Francia 1972.

La trama: I Thévenot e i Sénéchal continuano a scambiarsi inviti per un pranzo, ma non riescono mai a mangiare. Scritto col fido Jean-Claude Carrière, questo opus n. 30 dello spagnolo di Calanda è forse il suo film più francese e squisito: la trovata del Pranzo Continuamente Interrotto potrebbe far da motore a una commedia di boulevard. L\'angelo sterminatore ha in mano il fioretto dell\'ironia e lo maneggia con grazia incantevole, ma, surrealista sereno e sorridente, ricorre all\'esplosivo onirico per far saltare in aria la borghesia e i suoi pilastri: polizia, chiesa, esercito. I sogni non servono a evadere dalla realtà, ma a farla conoscere più profondamente. Un compendio di tutto il cinema buñueliano.
-> link alla scheda su wikipedia

Qualità Artistica ••••½
Dopo aver concluso un affare di droga, l’ambasciatore di un ipotetico stato sudamericano e due coppie dell’alta borghesia parigina cercano di incontrarsi ripetutamente per un pranzo o per una cena, ma ogni volta che si riuniscono a tavola succede sempre qualche imprevisto e i cinque non riescono mai a concludere il loro incontro. Il titolo così esplicito non tragga in inganno; Bunuel infatti non vuole tanto attaccare la borghesia, quanto più le istituzioni della società civile, che tra esercito, forze dell’ordine in preda ad incubi da Grand Guignol e una sfera religiosa ridotta a una macchietta servile e meschina (il vescovo-giardiniere), ne esce con le ossa rotte. Per fare questo il regista spagnolo usa l’arma della deformazione linguistica (i dialoghi sovrastati da rumori), del surrealismo e del sogno rinunciando però a meccanismi troppo ermetici per preferire un approccio più lucido e “classico”. Oscar come miglior film straniero e plauso unanime di critica e pubblico; da qui al capolavoro il passo è davvero breve.

Qualità Dell\'Edizione •••
La pellicola originale è andata soggetta a un accurato restauro che se da un lato non è riuscito ad eliminare tutti i segni di usura (a sprazzi si notano infatti bolle nere di discreta entità e puntinature abbastanza diffuse), dall’altro ha prodotto risultati davvero convincenti, come dimostrano la compattezza degli sfondi, lo stacco pronunciato tra i due piani, la buona definizione d’insieme e una compressione poco invasiva, nonostante ci fosse ancora spazio su disco per un aumento del bitrate medio. A tratti il quadro tende a perdere risalto (la grana nella sequenza del sogno del soldato, qualche rara sfocatura sui primi piani), ma non bisogna dimenticare gli oltre trent’anni del film e il precario stato di conservazione di una pellicola che appare ora sotto una luce completamente diversa. Anche la traccia italiana in mono ha subito un intervento di restauro, ma la nuova configurazione multicanale non ha portato grandi benefici; le differenze tra le due versioni si limitano infatti a sporadici interventi dei due posteriori nel sottolineare rumori ed effetti di ambienza (l’esecuzione finale, la camminata dei protagonisti sulla strada di campagna), mentre a livello timbrico e di pulizia la resa è simile, pur con una leggera preferenza per la traccia remixata in quanto a incisività dei dialoghi. La traccia originale in francese si caratterizza invece per un rumore di fondo abbastanza fastidioso, ma anche per parlati molto più aggressivi e vivaci per merito della presa diretta. Gli extra, che a parte il trailer non comprendono contributi filmati, si limitano a schede testuali con un’intervista al regista, alcune critiche dell’epoca, le filmografie del cast e una galleria fotografica. Non c’è traccia dei due bellissimi documentari sul regista presenti nell’edizione americana a due dischi di Criterion.

Durata: 97 minuti
Video: PAL - Codice area: 2
Formato Cinema : 1.66:1 - Formato Effettivo: 1.70:1 anamorfico
Sottotitoli: ita per non udenti
Supporto: DVD 9 (1) - Bitrate medio: 6,4 Mb/s (1)




Recensioni
Intramontabile Buñuel. Superati i settanta, dopo La Via Lattea e Tristana ecco dettare al fido Jean-Claude Carnière un altro capolavoro, un film sconcertante e delizioso, un modernissimo ricamo su temi antichi, condotto come uno scherzo che brucia e un enigma che stizza. Ma graziosamente, con l’incantevole discrezione attvibuita dal titolo alla borghesia e la scettica levità in cui s’è trasformata con gli anni la rabbia di quel maestro di sacrilegi. La grazia maggiore del film sta proprio, per cominciare, nell’ironia del titolo e della sua struttura narrativa, in quel far sospettare un sogno nel sogno. Le proteste dello spettatore che non capirà dove sia il confine tra verità e gioco onirico, e potrà uscire frustrato da questa storia senza storia, daranno la prova che Buñuel ancora una volta ha colto nel segno. Derisi nella loro impossibilità di rompere le frontiere del Verosimile e dell’Ordine, i borghesi saranno così, dolcemente, interpreti e testimoni del proprio ridicolo...
È un rischio che il pubblico devoto alla Ragione deve calcolare, seguendo il racconto di sei persone della buona società, che non riescono mai a togliersi la fame. Si tratta di due coppie, d’una ragazzina, dell’ambasciatore a Parigi d’un paese sudamericano. Tutti amici fra loro (dietro la facciata, gli uomini fanno contrabbando di cocaina, una signora tradisce il marito col diplomatico all’ora del tè, l’altra soffre di attacchi erotici, la più giovane vomita), i sei si trovano infatti nella curiosa situazione di non poter mai portare a termine un desinare o una cena – e le donne nemmeno la merenda - perché sul più bello sempre avviene qualcosa di imprevisto che gli toglie il boccone di bocca. Se una prima volta la colpa è di un malinteso, poi accade che nel ristorante si scopra un cadavere caldo, o che i padroni di casa preferiscano far l’amore in giardino anziché ricevere gli ospiti. Oppure succede che piombi in sala un gruppo di soldati che partecipa alle manovre, o un pranzo si riveli imbandito sul palco d’un teatro, coi cibi di cartone e gli spettatori che fischiano. Quanto alle signore, capiteranno in un caffè dove si serve solo acqua. Avverrà anche di peggio: che l’ambasciatore uccida a un cocktail un colonnello, che la polizia arresti i lestofanti ma sia costretta a rilasciarli dal ministro degli interni, che un commando di terroristi li liquidi a colpi di mitra dopoché un vescovo, fattosi assumere come giardiniere, ha ucciso a fucilate, però dopo averlo assolto, l’uomo che gli avvelenò i genitori...
Inutile continuare pizzicando qua e là. Prendendo qualcosa dalla commedia degli equivoci e sgranando un rosario di sorprese, Il fascino discreto della borghesia ha un unico filo: l’immagine ricorrente dei sei amici che, affrettando il passo, camminano su una strada deserta in mezzo alla campagna. È forse il simbolo della marcia, sempre un po’ più apprensiva, che la borghesia compie attraverso una realtà che l’ha isolata, e di cui si conoscono, se non i traguardi, i caratteri e gli incubi: la grandissima fame, appunto, metafora lampante, il rifar subito gruppo dopo i provvisori fuggi-fuggi, l’intesa cordiale con la chiesa, l’esercito e la polizia, e le paure espresse in sogni di morte, talché a un rituale di garbatissime convenzioni, tutto sorrisi e buone maniere, fanno da contrappunto gli abissi di infami delitti e, sepolti nel pâté, i morsi della coscienza.



Duole che lo spazio non consenta di trattenersi sul film come meriterebbero i suoi connotati eccezionali. Il fascino discreto della borghesia è infatti un esempio raro di cinema senza rami secchi. Da qualunque parte lo si prenda offre agganci all’analisi sociologica e alla riflessione storica, suggerisce confronti con le opere precedenti di Buñuel (soprattutto con L’Angelo sterminatore, dove l’impossibilità era di uscire da una casa), versa balsami corrosivi sulle giunture d’una classe impaurita. Rinunziando a ogni cipiglio critico, il film è nel contempo un balletto sul tema della sorte, che mette i bastoni fra le ruote dei programmatori, una parabola sulla insaziabile rapacità dei potenti, un apologo sulla falsità dei ricchi, prigionieri delle apparenze, contrapposta alla verità naturale (il vescovo che fa la sua sana vendetta!), ma anche, se vogliamo, un omaggio sarcastico alla borghesia, che fact sempre buon viso a cattivo gioco cina diritto mentre i rivoluzionani si gingillano.
Per non cader vittime del gioco cui Buñuel ci invita pur scongiurandoci di non accettarlo, il mezzo più sicuro di godere il film è non affaticarsi a decifrarne tutti i simboli, molti dei quali polivalenti (c’è per questo la critica seria), e invece affidarsi alla sua meravigliosa libertà fantastica, all’arguzia del dialogo, al trillo che annunzia la visita del Caso, alla maestria senza uguali con cui il banale si tinge di bizzarro e ospita l’assurdo, insomma alla magia di Buñuel e al suo far cinema come respira. Il surrealismo, a distanza di mezzo secolo, dà frutti d’insospettabile freschezza, e tanto più quanto merita, il film tradisce il gusto delle ardite ricerche formali. A dirne la ricchezza di timbri basta il breve capitolo sugli spettri, parentesi sublime in un contesto burlesco. È questo incrociarsi di lirico e di satirico che insinua nel film un’ombra di ambigua malinconia, e serba alla commedia un margine di dramma.
Oltre che per grazie settecentesche e crudi riverberi ispanici - i poli entro cui si muove l’incantesimo – l’opera nuova di Buñuel si raccomanda per la prova di tutti gli interpreti, perfetti nel portare sullo schermo mosse e inflessioni care ai nostri salotti. È uno dei casi in cui l’arte, importando i capricci della vita, ce ne fa misurare il futile grottesco.
-- Giovanni Grazzini (Il Corriere della Sera)

Curiosità
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  • Durante la scena della tortura dal pianoforte escono degli scarafaggi. Un clin d\'œil che Luis Buñuel fa a sé stesso dai tempi di Un chien andalou.
  • Vinse l\'Oscar come miglior film straniero nel 1973 lo stesso anno in cui Il Padrino vinse l\'Oscar come miglior film.
  • Buñuel commentò così la vittoria del suo Oscar: \"Si trattava di un voto perfettamente democratico. Certo, il risultato è imprevedibile perché a votare sono 2.500 idioti, tra i quali c\'è pure, per esempio, l\'assistente figurinista dello studio, che ha diritto al voto come gli altri.\"
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